È piccola, i capelli rosa. Si muove con cautela ma emana una sensazione incongrua rispetto alla sua corporatura, alla sua età: è sicura e ancora indomita, e si vede.
Letizia Battaglia, nella saletta del Ghetto a Cagliari, ci guarda con curiosità e ci parla con quella voce un po’ ruvida (troppe sigarette) e sbrigativa (troppa vita vissuta, meglio andare al sodo). Scambi e conversazioni tutti al femminile, lei che alle donne era così attenta. Succedeva nel novembre del 2018, in quella edizione fiammeggiante del Festival Pazza Idea dedicata al tema del “Femminile Plurale”, e ancora oggi, quando parliamo con le persone, tutte si ricordano sempre di lei e dei suoi ritratti quasi tridimensionali, delle foto caravaggesche degli omicidi di mafia, delle emozioni che solo le immagini possono restituire.
Se ci ripensiamo, proviamo emozione e gratitudine: non capita tutti i giorni di portare al proprio festival un mito vivente della fotografia italiana e internazionale, di esporre le sue foto, di intervistarla e di assistere al pellegrinaggio commosso degli appassionati – i fan, potremmo dire: Battaglia è stata a modo suo una rockstar, con una vita suo malgrado spericolata e interessante quanto la sua arte.
Ci ha lasciati ieri ma non è scomparsa, come si dice talvolta in questi casi: le sue fotografie rimangono e raccontano la storia italiana di un periodo duro e difficile, la sua Sicilia così bella e ferita, la quotidianità nascosta nelle strade di Palermo. E raccontano anche dove può portare la passione: per il lavoro che diventa vocazione, per le altre e gli altri, per la verità, per il proprio tempo e la propria terra.
Grazie Letizia, per tutto!
Lo staff del Festival Pazza Idea
Dal sito ANSA:
Il suo rapporto con la fotografia era cominciato tardi, nel 1971.Da poco era approdata a Milano, prima tappa di una carriera che ha toccato anche Parigi prima di virare ancora verso la Sicilia. Letizia Battaglia collaborava con qualche testata, ma doveva illustrare i suoi racconti con le immagini. Pier Paolo Pasolini fu il soggetto del suo primo scatto. Era una sfida che affrontò con caparbietà ma anche con grande intuito professionale. La svolta della sua vita arrivò nel 1974. Rispose all’invito del direttore del giornale L’Ora, Vittorio Nisticò, e presto diventò una testimone della grande cronaca di Palermo e della Sicilia. Per contratto dovette riprendere i morti ammazzati, le mogli delle vittime e le sorelle disperate, le stragi. Le foto di Letizia Battaglia erano icone drammatiche e simboliche delle vicende di mafia. Ma lo erano anche quelle che riprendevano i boss imputati nel maxiprocesso, Giovanni Falcone che raccoglieva le rivelazioni di Tommaso Buscetta, la figura di Giulio Andreotti accusato di avere avuto rapporti con Cosa nostra.
Lo scatto più drammatico e più evocativo è quello che riprende Sergio Mattarella mentre cerca di soccorrere il fratello Piersanti abbattuto dai sicari della mafia. L’archivio di Letizia Battaglia è diventato così una immensa galleria di personaggi ma anche un giacimento di memoria e di quella che Andò ha chiamato la “liturgia struggente” dell’Apocalisse palermitana. Non mancava in quel lavoro un forte impegno civile ma anche un senso di disgusto che portava Letizia Battaglia a cambiare spesso soggetti e a occuparsi soprattutto di donne e di bambine.
Celebre, sullo sfondo delle miserie del quartiere della Kalsa, la foto della bambina con il pallone che riuscirà a ritrovare e ad abbracciare dopo 40 anni. Fotografie esposte in tutto il mondo e che le sono valse anche prestigiosi riconoscimenti internazionali come il premio Eugene Smith. Letizia Battaglia ha fatto la fotoreporter, raccontava, “con onore e disciplina”.
Ph. Sara Deidda