La situazione in cui ci troviamo oggi, lo sappiamo, non ha precedenti nella Storia: l’emergenza del Coronavirus è globale e ci riguarda tutti, siamo globalmente coinvolti in un processo di analisi del nostro presente e fortunatamente anche di progettualitĂ per il futuro.
In questo momento – fine aprile dell’anno 2020 – noi non sappiamo con certezza quale sarĂ il perimetro entro il quale potremo muoverci per strutturare concretamente il nostro festival e per accogliere il nostro pubblico, che è cresciuto negli anni e che considera “Pazza Idea” un appuntamento importante dell’autunno cagliaritano. Sappiamo però che faremo il nostro Festival, al quale lavoriamo tutto l’anno, nel rispetto di tutte le indicazioni sanitarie e di sicurezza. Non sarĂ quindi per noi un anno sabbatico, ma semmai un momento di passaggio, nel quale sperimentare nuove formule di accoglienza e partecipazione. L’attenzione alla contemporaneitĂ , che è sempre stata un tratto distintivo del progetto “Pazza Idea”, si traduce per noi in uno sforzo ulteriore di tenuta, rimodulazione, evoluzione delle nostre idee. Forse il tema del 2020, “Generazione Passione”, ha definito e perfino anticipato il futuro: siamo chiamati a una nuova sfida nella quale il nostro spirito può fare la differenza.
Vogliamo così raccontarvi qualcosa di più sul nostro festival e sul lavoro culturale.
Si tratta di progetti complessi, ai quali lavorano piĂą persone. Ognuna porta la sua professionalitĂ , il suo contributo creativo, il suo tempo: è la forza-lavoro del settore culturale. Quando seguite e godete di un incontro, una presentazione editoriale, un reading, uno spettacolo, un workshop o una qualsiasi forma di cultura, arte e bellezza, soprattutto se è gratuito e aperto a tutti come lo sono i nostri eventi, fermatevi un momento a chiedervi come funziona: credeteci sulla parola se vi diciamo che c’è molta bellezza nel meccanismo, ma anche molta complessitĂ .
Dall’idea iniziale – quel grande tema che vedrete poi tradotto nei cartelloni 6×3, nelle brochure, dappertutto in cittĂ e che impegna prima chi progetta e poi i grafici, l’agenzia per le affissioni, gli addetti al locandinaggio – si sviluppa il programma dell’intera kermesse. La scelta meticolosa e l’incastro degli ospiti, la coerenza fra l’idea e il risultato che si vuole ottenere per mantenere alta la qualitĂ del progetto, la continua attenzione verso la contemporaneitĂ e il profondo legame con l’attualitĂ , la redazione dei testi, la scelta delle immagini, la cura dei dettagli, il rapporto con le istituzioni e con i partner, la ricerca di nuove collaborazioni: direttrice, collaboratori, copywriter, social media manager, consulenti, e ancora tutti i lavoratori dei service – tecnici, fonici, runner, responsabili dell’ospitalitĂ e della logistica e uffici stampa; e a cascata i ristoranti e gli hotel, i contatti con i nostri partner, i colleghi con cui collaboriamo, il prezioso e certosino lavoro di rendicontazioni e bilancio.
L’elenco è piĂą lungo e mutevole, perchĂ© ogni professionista lavora a piĂą progetti, sempre nel segno dell’incertezza e però anche di una crescita personale e professionale che diventa anche collettiva: il mese dopo, l’anno successivo saremo piĂą bravi, lavoreremo meglio, potremo offrirvi un festival ancora migliore attraverso il nostro impegno. Che è concretamente fatto di tempo, energie, fatica, preoccupazioni e soddisfazioni.
Come in ogni altro settore produttivo del nostro Paese, cioè, quello che gira intorno alla cultura nella sua accezione piĂą ampia è lavoro: come tale, è retribuito. L’Articolo 36 della Costituzione italiana recita: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantitĂ e qualitĂ del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sĂ© e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.”
Anche se il settore della cultura è tra i piĂą precari in assoluto, sottoposto com’è alle variazioni dei vincoli legislativi, al complesso rapporto fra pubblico e privato, e condizionato dai suoi elementi di “novità ” che lo rendono ancora poco normato dalla legge, è anche fra quelli che registrano una grande dedizione da parte dei suoi operatori. Non è possibile spiegare altrimenti la resistenza dei lavoratori che attendono per mesi di essere pagati per il loro lavoro, a causa delle lentezze burocratiche, e che oggi non possono contare su alcuna certezza o su una proposta chiara di ripartenza nell’immediato futuro.
La cultura in Italia, infatti, dipende in larga parte dall’intervento dello Stato e della mano pubblica, che investe i suoi denari in un’azione pubblica (cioè per tutti), perchĂ© ne possano usufruire tutti.
Oggi l’emergenza del Coronavirus ci mette tutti in grande difficoltĂ , perchĂ© la natura stessa degli eventi culturali è quella di riunire, partecipare, allargare la platea di chi beneficia della cultura: arrivare a molti è sempre stato un nostro obiettivo, così come quello di far innamorare dei libri, delle culture “altre” anche i piĂą esigenti, e naturalmente portare avanti il nostro lavoro con una visione piĂą ampia e non limitata a un singolo anno, anche per garantire ai nostri collaboratori qualche sicurezza in piĂą sul lavoro e sulle retribuzioni.
La cultura in Sardegna si coordina e cerca risposte: ecco perchĂ© abbiamo scritto agli organi istituzionali per fare delle proposte e spiegare ancora una volta quali sono le principali criticitĂ . Non possiamo accettare risposte come “in questo momento di emergenza dovuto al Covid abbiamo cose piĂą urgenti e importanti di cui occuparci” perchĂ© anche noi ci occupiamo di cose urgentissime e importantissime che sono legate al pagamento di lavoratori e aziende che hanno fornito o forniscono servizi giĂ da tempo. Sono fonici, tecnici allestitori, elettricisti, autisti, grafici, fotografi, noleggiatori, artisti, organizzatori, uffici stampa, social media manager e ancora addetti alla sicurezza, alla segreteria, alla logistica, alla mensa, all’accoglienza e tanti tanti altri.
E la nostra premura è legata al rispetto del lavoro degli altri, che in questo momento particolare si traduce in grande bisogno di liquidità .
Noi ci siamo, lavoriamo, ci crediamo.
Con quella passione che molti chiamano incoscienza.
E noi chiamiamo perseveranza.